firma email wapp 3

La prima volta che ho sentito parlare del Baskin mi sono francamente chiesto se avessi capito male o se, come può capitare a chiunque, avevo perso un pezzo dell’evoluzione dello sport. Ovviamente mi ero perso un pezzo di mondo oltre che di sport. Già perché il Baskin è una disciplina fantastica, nemmeno difficile da capire: è semplicemente l’unione delle parole ‘basket’ e ‘inclusivo’, uno sport di squadra dove normodotati e disabili giocano semplicemente insieme.

 


 

Avete capito bene, insieme. Uno sport affascinate che non si discosta molto dalla pallacanestro perché, alla fine, vince chi fa più canestri. Tutti devono dare il massimo e all’interno della stessa squadra non ci sono né limiti di età né limiti di genere. Come in tutte le cose belle che funzionano sono le regole a fare la differenza.

 

Leggi anche: In via Padova a Milano c’è un nuovo campo da rugby inclusivo. Il progetto INSIEME

 

Le regole del Baskin

 

6 giocatori per squadra, 4 zone di attacco/difesa, ruoli diversificati a seconda delle capacità. Quest’ultimo punto è centrale: esiste infatti il ruolo 5 (giocatore normodotato con ottime capacità motorie), il ruolo 4 (buone capacità motorie, indifferentemente disabile o no, ma che non ha familiarità con il basket); il ruolo 3 (giocatore con difficoltà motorie che non gli impediscono però di eseguire i fondamentali). Poi ci sono i ruoli 1 e 2, detti pivot: questi giocatori sostano nell’area d’attacco posta sul lato destro del campo e attendono che uno dei loro compagni superi la difesa avversaria: a quel punto il gioco si ferma e il pivot tira a canestro, scegliendo tra quello più alto o quello più basso (in totale, infatti, in capo ci sono ben 6 canestri!).

Ultime regole: in campo si schierano solo formazioni la cui somma dei ruoli non superi il 23; i ruoli 3,4 e 5 possono tirare solo nei canestri tradizionali; i giocatori di un determinato ruolo possono marcare solo pari ruolo o superiori. Una partita ha 4 tempi della durata di 8 minuti e i ruoli 5 uomini non possono stoppare i ruoli 5 donne.

baskinSoncino

L’impresa del Baskin Soncino

 

Famosa per la rocca medievale (teatro delle riprese di Ladyhawke, con Michelle Pfeiffer e Rutger Hauer , de L’albero degli zoccoli e Il mestiere delle armi entrambi per la regia di Ermanno Olmi), Soncino, cittadina di 7.600 anime in provincia di Cremona, non conosceva il baskin, o meglio non aveva una sua squadra. Lo conosceva, certo, perché questa disciplina è nata proprio a Cremona nel 2003 all’interno di una scuola: i founder, come diremmo oggi, sono un ingegnere, Antonio Bodini, e un insegnante di educazione fisica, Fausto Capellini.

 

Nei primi mesi del 2017 un gruppo di volontari e appassionati decide di lanciare l’idea: si ingaggia un allenatore proveniente da Cremona e, tra volantini e passa parola, in un attimo si forma un gruppo di 32 giocatori: 15 normodotati, 3 disabili, 5 pazienti di una R.S.D. (Residenza Sanitaria per Disabili) e 9 Under. Gli allenamenti sono momenti di impegno e allegria dove tutti sperimentano le cosa più belle dello sport: spirito di squadra, nuove amicizie e, soprattutto, i sogni di una grande impresa che solo la vittoria può darti. Anche se sei seduto su una carrozzina o se i tuoi occhi e il tuo cervello disegnano un mondo che altri non possono nemmeno immaginare.

 

La squadra del Baskin Soncino si iscrive così al campionato provinciale e, partita dopo partita, accumula vittorie e punti, tanto da entrare in lizza per giocarsi la Coppa Italia.

E’ la mattina del 3 giugno 2018 quando la squadra dei ragazzi della provincia cremonese scende in campo per la prima delle sfide che li separano dal traguardo che, fino a qualche mese prima, non era nemmeno un sogno lontano. Di fronte c’è niente di meno che la squadra di Bologna: gli emiliani capitolano con fatica e il punteggio è di 60 – 56 a favore dei ‘ragazzi del borgo’. Le facce sono un misto di felicità e paura: dalla Coppa Italia li separano solo 24 minuti di gioco e la squadra dei padroni di casa, il Carugate, che ha battuto 53 a 46 il Pistoia.

 

E’ l’Inno di Mameli ad aprile la finale e sulle facce dei giocatori, oltre alla tensione, si vede scorrere qualche lacrima: una grandissima emozione per chi, fino a qualche mese prima, lo sport lo guardava dalla finestra di una stanza o lo viveva come un momento di frustrazione ed esclusione. Ma ora sono li, in fila e con lo sguardo alto, pronti a giocarsela fino in fondo. L’arbitro da il via al gioco ed è proprio grazie a Martina, Morgan e Federico – i 3 pivot del Soncino – che la squadra cremonese guadagna il suo vantaggio. Nell’ultimo periodo è il veterano Mauro a infondere calma alla squadra ma il canestro della vittoria è ancora di Federico che ferma il tabellone a 59 a 56. A questo punto è solo festa, gioia e lacrime per essere riusciti ad alzare una Coppa che non è solo d’Italia ma anche piena di dignità, inclusione e orgoglio.