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Quando venne posata la prima panchina gigante che spalancava sulla campagna piemontese lo sguardo di chiunque vi si sedesse, il suo creatore – il designer americano Chris Bangle – desiderava che quella mega installazione che chiamò Big Bench ispirasse gioia, comunione con la natura e diventasse un luogo dove chiunque, incontrandosi con altri visitatori, potesse sentirsi una micro comunità. Sono passati dieci anni da quel giorno, le Big Bench ufficiali sono diventate oltre 100, tutte costruite da privati cittadini e, sparse come sono per l’Italia, oggi rappresentano la prova vivente di come uno spunto artistico intelligentemente gestito possa generare energie positive nei territori, generando socialità, sensibilizzazione green, sviluppo economico dei luoghi e delle sue comunità, attraverso uno sviluppo dal basso sempre gioioso e condiviso. Oggi il Big Bench Community Project – che è completamente non profit – garantisce supporto tecnico a chiunque voglia costruire una nuova grande panchina ufficiale e collabora con gli artigiani locali per realizzare prodotti ispirati alle panchine stesse. E continua ad allargarsi: le maxi panchine sorgono in Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Basilicata e nuove candidature giungono quotidianamente. “È la testimonianza di uno spirito condiviso da un numero sempre maggiore di persone”, commenta il designer. “Sono davvero colpito dal raggiungimento di questo traguardo, che non avrei immaginato quando abbiamo installato la prima panchina gigante”.

PAOLA FASSINO CAT3 PH1

Paola Fassino

Chris Bangle, designer star del mondo dell’auto – prima è stato alla Opel, poi alla Fiat, dove ha disegnato la Fiat Coupé, quindi passa alla BMW come Direttore del Design – vive da anni a Clavesana, vicino a Torino: qui, dove ha installato la prima panchina gigante, ha fondato la Chris Bangle Associates, insieme alla moglie Catherine.

 

 

Trovo molto affascinante il Big Bench Community Project  perché induce le persone a riflettere sul concetto di “bene comune” da rispettare e – di più – di cui prendersi cura nel tempo.

Il filo conduttore del progetto è portare le persone a riflettere sul proprio rapporto con il mondo esterno. A chiedersi se ci sia qualcosa che possano fare per il proprio Comune, il proprio territorio, chi vive intorno a loro. Le panchine giganti sono nate innanzitutto per ispirare pensieri positivi, per divertire e per far tornare bambini i visitatori che si siedono sopra. Quando hanno iniziato a diffondersi sono diventate anche un mezzo per dare visibilità ai territori che le ospitano. Chi arriva in zona attratto dalle panchine giganti visita anche i paesi, i ristoranti, gli alberghi, i negozi del luogo. Parla con le persone, scambia cultura, conoscenza e momenti di gioia. Il Big Bench Community Project è oggi in grado di coordinare il fenomeno e promuovere il territorio con azioni benefiche – donazioni alle scuole, progetti di collaborazione con gli artigiani locali per produrre oggetti legati alle panchine, passaporti e gadget acquistabili in edicole e bar, con conseguente flusso di clientela verso gli stessi. Fare qualcosa privatamente per i benefici del pubblico utilizzo è un obiettivo importante per il futuro.

SAMANTHA PANFILIO CAT4 PH1

Samantha Panfilio

Ma come è nata l’idea della maxi-panchina? È vero che il primo esemplare lo ha progettato per il giardino della sua casa?

Sì. Tutto è iniziato dal progetto di una grande panchina per me e mia moglie. Sullo schienale della Big Bench rossa nei nostri vigneti è inciso un cuore con le nostre iniziali. Gli elementi di arredamento fuori scala non sono una novità̀: esistevano già̀ arredi giganti a forma di panchina. Io desideravo progettare la mia versione, qualcosa che potesse ricordare la tipica panchina dei parchi pubblici, che abbiamo tutti ben chiara nella nostra mente, che rimandasse a un’icona positiva. Questa idea è piaciuta alla gente.

Cosa crede sia piaciuto nello specifico alla gente di queste maxi panchine? Molte persone hanno voluto costruirsene una propria…

Credo sia piaciuto il concetto di sentirsi di nuovo bambini sedendovisi sopra, godersi la vista, avere un posto dove parlare o condividere un momento, e hanno iniziato, sì, a volerne costruire una propria. Dopo la prima, il mio vicino di casa ha chiesto se potesse farne una anche lui nella sua vigna, e io ho offerto i disegni gratuitamente. E così è proseguita una serie che ha poi portato a costituire l’associazione. Oggi BBCP conta oltre 120 panchine.

Allestire Big Bench è anche un modo originale per creare socialità, inclusione, interazioni tra le persone.

Una parte dell’esperienza delle grandi panchine è unire le persone nei paesi durante la costruzione delle stesse. ​All’inaugurazione di ogni nuova panchina si percepisce l’orgoglio per aver contribuito a qualcosa di così significativo per la comunità, la felicità nella condivisione del proprio territorio con i visitatori, ma anche la consapevolezza che l’affluenza continuerà nel tempo.

C’è poi anche un’idea più generale di interazione, allargata ai visitatori?  Certamente, in quanto i visitatori, che vanno alla ricerca delle grandi panchine, possono perdersi nel territorio, scoprire angoli mai visti, fermare gli abitanti per strada per chiedere indicazioni. Un tipo di socialità che va perdendosi, ma che fa bene allo spirito.

Quali sono le prospettive e le evoluzioni future del progetto? ​

Il 2020, con la difficoltà di recarsi all’estero e di visitare le grandi città, è stato un anno di assalto alle grandi panchine, e la visibilità del progetto Big Bench è stata enorme. Le potenzialità di diffusione delle panchine giganti sono molto ampie e al momento è il mio team di Chris Bangle Associates a gestire tutto. L’obiettivo è che un giorno BBCP possa autofinanziarsi, creando una serie di filiali locali, in particolare con il diffondersi del fenomeno anche fuori dall’Italia. Per mantenere la qualità del progetto sarà necessario costituire un’organizzazione più ampia e dovremo lavorare per portare fondi all’associazione, sempre nel rispetto di uno dei cardini del progetto: non usare mai finanziamenti pubblici. Sotto l’aspetto più pratico vedo il consolidarsi di un fenomeno molto inusuale per quanto riguarda la partecipazione del pubblico. Le panchine giganti non sono giostre di un parco divertimenti mantenuto in piedi grazie ad un biglietto d’ingresso, né una parte di una rete pubblica in cui confluiscono soldi pubblici. Sono singoli oggetti realizzati con forza e passione da individui privati per il beneficio di tutti. Perciò tutti insieme dobbiamo mantenere questo progetto in vita oggi e domani. Io immagino un futuro con flashmob di panchinisti che si cimenteranno in interventi di pulizia, lavori di manutenzione, sensibilizzazione del pubblico. Non sarebbe bellissimo?

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C’è una comunità, un organismo, una persona che le piace ricordare perché ha valorizzato in un modo che lei trova interessante il progetto di installare una maxi panchina? 

​Mi piace ricordare la panchina di Alba, in località Scaparoni, una  panchina nata nel 2016 per volontà di una comunità di sordi della sezione albese dell’associazione Lis (Lingua italiana dei segni). L’hanno voluta per avere un elemento significativo in cui ritrovarsi fisicamente, ma anche per donare qualcosa alla comunità in generale. La loro panchina riporta l’incisione del cuore della LIS ed è sempre mantenuta in perfetto stato, con grande amore.