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Il terremoto di Haiti, lo tsunami nell’Oceano Indiano, gli uragani, le eruzioni vulcani, le guerre: c’è una cosa che troppo spesso dimentichiamo. Ogni crisi umanitaria diventa istantaneamente una crisi idrica, quali che siano siano le cause la popolazione perde l’accesso a fonti sicure e igieniche di acqua potabile. Per esempio: lo Yemen, dove da anni c’è in corso una terrificante guerra civile e dove oggi 11,2 milioni di persone hanno urgente bisogno di acqua tutti i giorni. Le forniture idriche sono completamente ferme in gran parte del paese. Oggi, le persone che vivono e quelle che operano sul luogo di un disastro umanitario hanno una sola possibiità a propria disposizione per portare o ricevere acqua: la plastica. Milioni di bottigliette di plastica che nessuno poi sarà nelle condizioni di riciclare. Oggi, però, potrebbe esserci un’alternativa: è apparsa sulla piattaforma di crowdfunding Indiegogo e si chiama Quench Sea.

quench

Quench Sea è un dispositivo portatile, grande più o meno come un ferro da stiro, in grado di trasformare l’acqua di mare in acqua potabile, a un ritmo da due litri all’ora, fino a 72 in un giorno. Per ora è solo un prototipo, sviluppato da un’azienda divisa tra il Regno Unito e gli Emirati chiamata Hydro Wind Energy prima di essere promosso su Indiegogo, ma in futuro potrebbe essere una rivoluzione per gli aiuti umanitari. Almeno, questo è quello che spiegano i progettisti. «Volevamo creare un’alternativa pratica, efficiente e utilizzabile su larga scala alla plastica per le crisi idriche nelle catastrofi umanitarie», spiega Lee King, che sta seguendo la fase di test a Dubai, negli Emirati Arabi. «Quench Sea potrebbe cambiare completamente lo scenario, mettere in condizioni gli individui di creare acqua potabile sul posto. L’unica condizione è l’accesso all’acqua di mare, a disposizione del 60% della popolazione umana».

 


 

L’innovazione è nella leggerezza

Il meccanismo tecnologico alla base di Quench Sea è l’osmosi inversa, lo stesso dei grandi impianti di desalinizzazione (compresi quelli della casa madre, Hydro Wind Energy). L’innovazione è essere riusciti a comprimere questi impianti in un dispositivo che pesa meno di un chilo, può essere tenuto in una mano e operato meccanicamente da chiunque. A permettere l’osmosi inversa sono delle membrane sintetiche: «È biologia elementare, è lo stesso meccanismo col quale si nutrono le piante e che nel nostro caso permette la rimozione dei sali dall’acqua di mare, mentre i filtri a carbone attivo eliminano microplastiche e altri elementi nocivi». Il mercato potenziale va oltre lo scenario degli aiuti umanitari: «Pensiamo agli esploratori, a chi fa trekking, a chi naviga nell’oceano, ai prepper», che sono quelli che si attrezzano per una eventuale fine del mondo e per ora sono tra quelli che si sono dimostrati tra i più interessati al prototipo promosso su Indiegogo. Ma l’impatto più importante nelle prospettive di Hydro Wind Energy rimane quello per gli aiuti umanitari. «Per ogni pezzo venduto su Indiegogo, ci siamo impegnati a donarne uno a un’organizzazione che lavora sul campo, siamo in contatto con la Croce Rossa, la Mezzaluna rossa, i Mercy Corps».

Quench Sea Emergency Device 1

Il piano attuale è completare la campagna su Indiegogo, passare attraverso un altro round di finanziamento per poi iniziare gli invii nel corso del 2021. L’obiettivo è su grande scala: «Entro il 2027 vogliamo averne distribuiti 100 milioni, per un potenziale impatto su un miliardo di persone». Insomma, sicuramente l’ambizione non manca in questo progetto, perché queste cifre corrispondono a poco meno della metà delle persone che oggi nel mondo non hanno accesso all’acqua in modo sicuro, circa 2,2 miliardi.

Una sfida globale

La sfida dell’acqua è tra quelle di maggior importanza strategica e geopolitica nei prossimi decenni: entro il 2030, potrebbero esserci 700 milioni di profughi a causa del mancato accesso alle risorse idriche. È anche questo il motivo per cui la seconda sfida, oltre ai dispositivi portatili, sono gli impianti off-shore, come quello in costruzione 40 chilometri al largo di Chennai, nel Golfo del Bengala.

Queste strutture hanno un gran potenziale, accompagnato da una serie di problemi: sono costose, energivore e spesso nocive nei confronti del mare dal quale viene pescata l’energia. In questo caso la soluzione  Hydro Wind Energy è portare gli impianti di desalinizzazione a 550 metri di profondità, dove l’impatto sulla vita marina sarebbe minimo. La principale innovazione tecnologica è il sistema di aquiloni che, sfruttando la forza del vento in altitudine, trasformerebbe gli impianti in una sorta di pozzo dal quale portare in superficie l’acqua dissalata, risparmiando il costo dell’energia, «che corrisponde al 60, 70% del totale in questi impianti». Il primo a essere costruito sarà per il governo della Giordania nel golfo di Aqaba. «L’acqua è tutto, la politica, la stabilità internazionale, la sicurezza dei popoli, perfino quello che indossiamo è fatto con l’acqua», dice King. «Risolvere i problemi legati all’acqua è salvare il mondo».